Rappresenta una figura d’ombra, vagamente umana, che vola, o meglio annaspa, in un cielo blu elettrico ingemmato di astri incandescenti.
È la rappresentazione di Icaro, il figlio di Dedalo, che nel mito del Minotauro per fuggire dal labirinto vola sopra il mare con ali di penne d’uccello e cera. Il mito racconta che Icaro, volendo volare troppo in alto, si avvicina al sole tanto da fondere la cera che teneva incollate le ali per poi precipitare in acqua. Dalla mitologia greca l’episodio di Icaro è stato continuamente ripreso da moltissimi artisti di differenti epoche e correnti per la sua umanità.
Henri Émile Benoît Matisse è tra questi: nel 1947, a 78 anni, dipinse per un libro-raccolta sul jazz “Il volo di Icaro” e successivamente “La caduta di Icaro”. Sette anni dopo, alla fine di una carriera artistica che lo portò a divenire l’esponente di spicco del genere “fauves”, Henri Matisse morì.
Il disegno è singolare, prima di tutto per lo stile: Matisse applicò la tecnica del “papiers découpés”, essenzialmente foglietti di carta colorata incollati l’uno sull’altro. Una scelta che lo portò così a restringere la tavolozza dei colori a quattro tinte piatte, prive di sfumature.
Si tratta di un’opera incredibilmente semplice sia dal punto di vista tecnico, che dal punto di vista descrittivo: un uomo in un cielo stellato.
Potrebbe averla fatta un bimbo dell’asilo. La cosa sorprendente è invece che Matisse la fece negli ultimi anni della sua vita.
Matisse non dipinge il mare e il sole, i due pericoli, ed ignora le ali, il limite. Il protagonista del quadro di Matisse, non è il cielo, non son le stelle e non è neanche l’uomo d’ombra, quasi un buco nero incapace di riflettere la luce. Il centro dell’opera di Matisse, l’imbattuto premio Oscar come attore protagonista da alcuni millenni ad oggi, l’infinito “motore” della realtà finita dell’universo è quel rozzo puntino rosso:
il cuore dell’uomo.
Spesso tra giovani sentiamo di avere le redini della nostra vita strette tra le mani: sappiamo che la forza delle nostre convinzioni è la spinta che ogni giorno ci permette di portare avanti i nostri progetti individuali e, in ridotta misura, il bene della collettività. Siamo consapevoli di non poter fare il buono e il cattivo tempo in ogni cosa, ma sappiamo che la nostra determinazione, il nostro desiderare, il nostro volere ci permetteranno di superare gli ostacoli e di migliorarci sempre.
Il quadro in questione supera questa affermazione e descrive l’essenza dell’uomo nella sua più profonda verità: Icaro nella forma nera al centro del quadro non sembra stia volando con l’eleganza di un angelo; è sgraziato, appare trascinato, quasi a disagio nel mare di stelle. Ma è mosso ad avventurarsi in questo cielo dal suo cuore, quasi come se la figura dell’uomo sia strascicato avanti a forza dal piccolo punto rosso.
Il cuore rappresenta la coscienza, o meglio l’essenza dell’uomo. Già, perché intuendo ma non comprendendo la propria natura, l’uomo ha da sempre sentito il “prurito” di rappresentare la propria vera essenza, quasi per relegarla nello spazio e nel tempo, ridimensionandola per farla più “umana”. E nelle arti figurative (e non solo), la metafora più sintetica per l’essere umano è il cuore.
Cuore che continua ad essere la scintilla scatenante in ogni atto umano e il più grande mistero nell’universo. Ogni uomo che nasce si tuffa nell’universo, pian piano, cercando di comprendere la propria natura attraverso la realtà, e più la intuisce, più è portato ad amplificare la propria ricerca.
Matisse con quelle pennellate di rosso ci ha come lasciato detto questo: tu, uomo, sei intramontabile desiderio. Non tentare di determinare il tuo volere o il tuo ardore. Il ciliegio non pretende di fare albicocche. Non puoi scegliere o frenare la tua natura.
Tu, uomo, sei domanda di infinito.