C’è il Papa a Milano al Family Day. Gli Amici del Comune dei Giovani (Associazione vigorosamente capitanata da Noemi Alessio) organizzano un pullman per essere presenti. Tengo famiglia numerosa (nella media) e non posso mancare. Le adunate oceaniche, dalle Giornate Mondiali della Gioventù in poi, mi piacciono. Cause di forza maggiore mi costringono però, assieme ad un altro paio di amici, ad andarci da solo e per una toccata e fuga.
Quando vedo la lista dei partecipanti, scopro che tanti altri amici con famiglie numerose (ben oltre la media) sono lì con tutta la prole. Bravi, penso non senza un po’ di ammirazione. Dopo un secondo realizzo che se al Family Day non ci porti la family la vivi solo a metà.
Le previsioni meteo danno bel tempo. La realtà è che già alla prima sosta all’Autogrill c’è quello che Renato Pozzetto avrebbe chiamato un caldodellamadonna. Poco importa, la sosta ristoro è luculliana, e il caldo passa in secondo piano.
Con i miei due compagni di viaggio arriviamo a Bresso, e scopriamo che tra lavori stradali e ZTL sembra sia impossibile parcheggiare la macchina dove avevamo previsto. Poi – miracolo – la macchina si ferma proprio lì dove volevamo. Speriamo che la ZTL abbia chiuso gli occhi quando siamo passati noi. Zaino in spalla e via, raggiungiamo gli altri che con il pullman si sono diretti al luogo di pernottamento. Do il mio modesto contributo allo scarico dei bagagli, e intanto guardo le facce dei miei amici. Chissà quanto è stato impegnativo domare decine di bambini dentro un pullman. Già a casa talvolta sembrano incontrollabili, pensa in bus con in corpo l’entusiasmo da gita. Invece sono tutti contenti.
Aiuto a sistemare i materassini tra un figlio che corre dietro all’altro, tra un “vieni qua, non andare in giro” e un “papà, devo andare in bagno” – “ok, chiedi alla mamma”.
Dopo pranzo ci avviamo verso l’aeroporto di Bresso. In metropolitana una mamma del nostro gruppo seduta davanti a me ha una bimba a destra, una a sinistra e il bimbo di un anno nel passeggino davanti a lei. Le due più grandi le si sono letteralmente addormentate sulle spalle e al piccolo manca poco. Lei sorride. Potrebbe lamentarsi di un sacco di cose, che fa caldo, che siamo stretti, che siamo sudati, invece sorride.
Scendiamo dalla metro e ci aspettano diversi chilometri a piedi. Io ho il compito di portare lo striscione fatto per l’occasione, e mi presto volentieri. Lo striscione che all’inizio pesava quasi nulla, al terzo km inizia a farsi sentire. Quando decidiamo di aprirlo in tutti i suoi 6 metri di estensione pensando di essere arrivati, non sappiamo che abbiamo davanti almeno un altro paio di chilometri sotto la canicola.
Penso che lo striscione è nulla rispetto alla fatica di chi è lì tra decine di migliaia di persone con 4 o 5 figli, con un bambino in braccio, uno per mano e nella testa la speranza che gli altri non vadano a cacciarsi nei guai. Eppure, nonostante tutto, ha voluto esserci, magari solo per sentire il Papa e sperare di vederlo passare vicino con la Papamobile, o forse per dare la propria testimonianza in difesa di una realtà, la famiglia, che oggi sembra indifendibile, sotto attacco com’è tra uno Stato che ti complica la vita più che può e un pensiero dominante che vuole convincerti che possa chiamarsi famiglia qualsiasi assembramento dell’umanità più varia.
Anche noi eravamo lì per dire “ci siamo” con tutti i nostri difetti, non perché abbiamo il tagliando di famiglia modello, anzi. Eravamo dal Papa proprio perché non ce l’abbiamo, per ringraziare di essere parte di questa “tribù” di facce familiari a cui è toccata una grazia speciale.