Ieri. Oggi. Sempre.
È questo lo spirito cristiano che deve accompagnare ogni scelta che compiamo nella nostra vita. Parafrasando quello che potrebbe sembrare un motto militare: c’è bisogno che io, che noi prendiamo una decisione avendo ben salda nella mente una certa esperienza di vita, nostra o di qualcun altro, che serve da metro di giudizio per capire se quello che stiamo per fare è giusto o meno.
Se, poi, vogliamo applicare un briciolo di matematica al corso del tempo, basta dividere il nostro passato in tante parti infinitamente piccole, così da avere il quadro di una vita, e della storia, come della somma di un numero tendente a infinito di pezzetti così piccoli da potersi dire, ognuno di loro, attimi. Ossia frammenti che per quell’infimo istante che sono esistiti si sono chiamati “Presente”. Va da sé che tutto quello che facciamo adesso espande l’integrale di esperienza che abbiamo del passato e che non verrà cancellato da nessuno e per nessuna sua parte. Rimane, cioè, per sempre.
Ma questo non è scontato, perché per quanto il relativismo sia negato dalla natura, è stato comunque divinizzato dall’uomo tanto da essere il capolinea della maggior parte delle discussioni. Con ciò si intende dire che anche il romantico “per sempre” è applicato solo quando serve. Ma il cristiano non può vederla così. Lui deve sapere che ogni decisione va fatta in vista di un bene più grande, di un bene eterno. Quindi, per forza di cose, anche quella singola scelta rimane. In saecula saeculorum.
Riguardando le prime tre parole dell’articolo, la mente umana tende per istinto a volerle classificare su una scala di importanza, inutilmente o erroneamente. Nessuna può sussistere senza l’altra, perché rappresentano un continuum. Il cristianesimo si vive adesso, in questo preciso istante, che fa capo a tutti gli istanti passati che rimarranno a creare il futuro.
Venendo al concreto, come realtà abbiamo passato un periodo di notevoli cambiamenti. Il ricambio generazionale è stato importante e ha portato una ventata di vita nuova che ha permesso a nuovi ragazzi, nuove menti di iniziare a camminare lungo la via tracciata da Don Didimo. Lo stesso Consiglio direttivo Comune dei Giovani, non meno di un anno e mezzo fa, ha cambiato la metà dei suoi componenti.
Tutto nuovo. Tutto bellissimo. Ma c’è un grande rischio: scordarsi chi siamo. Il Comune dei Giovani ha una storia incredibile che ha permesso a tanti di immettersi nel periodo della maturità con il piede giusto, e così deve continuare a fare. I giovani devono, però, far uscire quell’Io con cui si presenteranno alla vita; le loro idee nuove devono venire fuori e concretizzarsi. Anche sbagliando, non sia mai il contrario. Ma devono farlo, e come possono se non sanno da dove vengono? Se non sanno che possono organizzare un\’attività grazie a cinquantacinque anni di storie di vite che si sono messe al servizio perché loro potessero vivere una realtà del genere? Se non sanno che sono i destinatari di una enorme e splendida eredità?
L’intento del Tema Annata di quest’anno è proprio questo: riscoprire la nostra eredità, per poterla riguadagnare e possedere (riprendendo Goethe in Faust). Abbiamo così tanto da leggere, da ascoltare, da guardare che anche chi è più grande ne sa ancora troppo poco. La nostra storia è lì per essere fatta nostra. Riguadagnamocela.