Qualche giorno fa mi è tornata in mente una storia letta in un numero di Rolling Stone di fine estate. Si, lo so, sarò l\’unico che ancora compra quella rivista, in effetti non so ancora perché continuo a farlo, tutti quegli articoli sui Clash ormai mi vanno fuori dalle orecchie (Lupi, il direttore, mi dice che \”quelli non si possono togliere\”, perché poi non vendete?). Sarà coazione a ripetere, mi ci sono affezionato, per la miseria. Ma andiamo oltre.
La vicenda, romanzata a dovere ovviamente, è quella di Mike Thackwell, ex pilota di Formula 1, un prodigio entrato in fretta nel mondo delle corse.
Thackwell, neozelandese, inizia la sua carriera professionistica con la Formula Ford a 16 anni, in F3 poco dopo, con 5 titoli portati a casa e un anno dopo la maggiore età debutta in F1, uno dei più giovani ad arrivare a quei livelli. Come racconta al giornalista di RS è a quell\’età che si ritroverà in griglia di partenza al Gran Premio del Canada solo due posizioni dietro al suo eroe di sempre, Gilles Villenueve.
Ron Tauranac, suo mentore e capo del team Ralt, dice di lui: \”Mike aveva un gran talento naturale, non una grande tecnica, ma un talento innato. Splendeva davvero su circuiti come Pau, dove era estremamente difficile guidare. Lì batteva chiunque, era un asso.\”
Mike continuava a correre raccogliendo consensi da ogni dove ed iniziando a comprendere il lato commerciale, sporco e spietato, delle quattro ruote. Un incidente qualche anno dopo lo terrà fermo per qualche mese, periodo durante il quale avrà modo di riflettere e di immaginare se stesso, lontano dalle piste, lontano dai motori. Ed è proprio così che fece. Lasciò quel mondo a 26 anni, più velocemente ancora di quanto ci mise ad entrare. Ora vive in una casetta in campagna, sulla costa a Sud dell\’Inghilterra, tra una surfata e qualche libro. Di lavoro ora fa l\’insegnante di sostegno e il barista part-time. A chi lo intervista incredulo ribatte dicendo \”Ascolta, devi capirmi. E\’ stato bello ritrovarsi dopo 30 anni e parlare dei bei tempi andati, ma la F1 non poteva essere la mia vita. Non fa per me\”.
Ecco, ripensarci, come leggerla la prima volta, mi ha lasciato un po\’ così, come in quelle situazioni in cui non sai bene cosa pensare. Attualizzarla mi è difficile. E lo è perché una cosa come quella di Thackwell ora come ora non se la può permettere nessuno. Chi spreca un talento oggi lo fa a malincuore, lo fa perché è costretto. Costretto da un impiego di ripiego, quando è fortunato. Ma davvero non voglio star qui a piangere il morto, non è nella mia indole.
Un dato di fatto rimane: il fascino punk del buttare all\’aria tutto di propria spontanea volontà ora è diventato un privilegio per pochi. E chi lo fa sembra doversi poi adattare alle regole di mercato. Aleggia questo sentimento comune (condiviso anche dal sottoscritto) di una ricrescita che necessariamente deve partire dal famoso \”fare ciò che piace\”. Ma questa filosofia viene professata male, malissimo anche nelle zone franche, dove l\’influenza del cinismo del mondo esterno non dovrebbe entrare affatto; lì dove quel fare ciò che piace dovrebbe essere innalzato a sacro e immacolato. Nelle scuole, ad esempio, viene incentivato il ragionamento che privilegia una scelta legata al futuro e non una scelta libera e svincolata, basata solo sull\’attitudine e la preferenza. È un ragionamento di compromesso, che porta inevitabilmente, qualche anno più tardi, ad uno spreco di talenti. Ma non come quello di Mike Thackwell, badate bene. Uno spreco forzato, non volontario, indotto dai vincoli che ci impone la società del futuro.
Ma ora sto decisamente buttando troppa carne al fuoco.
Posso capire che questo discorso, se travisato (com\’è facile che sia), può essere considerato altamente offensivo, specie per chi uno spreco di talenti costretto dal mercato è obbligato a farlo. È un\’ottica destinata a sparire, mi rendo conto, come d\’altro canto lo sono i vari Thackwell. Non voglio addentrarmi in discorsi più grandi di me, e non voglio davvero rischiare di passare per idealista fuori luogo che parla perché tanto il piatto di pasta in tavola ce l\’ha comunque. Spero davvero di non fare questa impressione, vuole solo essere una semplice esternazione di un\’idea, che in quanto tale necessita di essere confrontata.
Qui trovate il link all\’editoriale di Michele Lupi del numero di Settembre in cui si parla di Mike Thackwell.
http://www.rollingstonemagazine.it/magazine/editoriali/editoriale-n-107/
Dello sprecare i talenti oggi: quando lo si fa volontariamente e quando invece si è costretti.
È ancora possibile o stiamo parlando di \”salti nel vuoto\”?
Dateci un vostro parere in un commento a questo articolo!
Di Elia Baggio