Non siamo certo noi che possiamo interpretare le parole del Papa durante l’ultimo Sinodo dei vescovi. Se uno vuole, su internet e sui quotidiani trova commenti certamente più autorevoli e qualificati dei nostri.
C’è però un aspetto che ci preme sottolineare perché si avvicina alla realtà del nostro movimento, alla nostra esperienza diretta. Si tratta dell’uso che Benedetto XVI ha fatto dell’immagine del fuoco. Lo ha fatto in più occasioni, sia in apertura che in chiusura di questo Sinodo. Nel discorso di apertura dell’Assemblea dei Vescovi ha esordito con un’affermazione che a noi che siamo giovani, e ci facciamo prendere dall’entusiasmo, ha gasato parecchio.
Un’affermazione netta, precisa: “Il cristiano non deve essere tiepido”, perché “questa tiepidezza discredita il cristianesimo”. Uno a zero e palla al centro.
Non dovrebbe essere una novità, visto che nell’Apocalisse ai tiepidi sono riservate parole non proprio concilianti (“li vomiterà dalla sua bocca”), ma tant’è. In un momento storico in cui tutto è relativo e la verità non esiste, se non quella che ognuno si fa a suo personalissimo piacimento, sentire il Papa che ci ricorda che un cristiano deve invece avere il coraggio di proclamarla a voce alta, la Verità, è uno sprone non da poco.
Benedetto XVI poi ha aggiunto che “la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere, e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione: «Accéndat ardor proximos», che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta”. Realtà vissuta, appunto, esperienza concreta.
E ancora: “lo Spirito Santo era fuoco che ha trasformato il mondo”, un “fuoco trasformante, fuoco di passione – certamente – che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo”. Ardore, passione, ma anche sacrificio. La “confessio” cristiana è “una realtà per cui vale la pena di soffrire, che è più forte anche della morte, e dimostra che è verità che tengo in mano, che sono più sicuro, perché trovo la vita in questa confessione”.
Resta da capire come noi ci poniamo rispetto a queste parole. Nel messaggio conclusivo del Sinodo si legge che “la nuova evangelizzazione ha nel mondo dei giovani un campo impegnativo ma anche particolarmente promettente”. Ai giovani “va riconosciuto un ruolo attivo nell’opera di evangelizzazione soprattutto verso il loro mondo”. Ecco, allora, che è tutto chiaro: noi siamo giovani, anche se abbiamo alle spalle una lunga storia educativa. E abbiamo anche il fuoco. Allora questa è una chiamata bella e buona. Alle chiamate non ci siamo sottratti da 50 anni a questa parte, figurarsi se ci tiriamo indietro proprio adesso.