Che Roberto Saviano abbia avuto coraggio a scrivere Gomorra, che lo ha di fatto consacrato al successo presso il grande pubblico dei lettori, è fuori discussione. Che nel tempo, grazie a questo successo, egli sia diventato anche un maître à penser di quella parte di società che nel gruppo editoriale L’Espresso trova l’espressione più efficace della propria superiorità antropologica è pure fuori discussione. Fate una prova. Mettetevi a discutere con un fan di Robertone: quando il vostro interlocutore inizierà una frase con “Lo ha scritto anche Saviano l’altro giorno…” è il segno che la discussione è finita e che non ci sarà verso. Se lo ha detto Saviano, è come se l’avesse detto la Cassazione. Ciò non toglie che, secondo l’opinione di noi poveri bigotti oltranzisti reazionari, se uno scrive una cacchiata, anche se costui si chiama Saviano, la cacchiata resta pur sempre una cacchiata.
Scrive su Twitter, il Roberto col sopracciglio corrugato, che “la festa della donna ha senso come festa del diritto, anche di abortire, ma in Italia la legge 194 è una legge negata”. Noi saremo trogloditi, ma – a parte il fatto che non si capisce che cosa intenda per “festa del diritto”, ma soprassediamo, tanto i diritti sono come il prezzemolo, tutti li vogliono e tutti ne parlano – come si faccia a dire che la legge 194 è una legge negata è un mistero. A svelarlo è lo stesso Saviano in un articolo su L’Espresso in cui spiega, tra un luogo comune e l’altro, che “In Italia la 194 non funziona a causa del numero, altissimo, di medici antiabortisti”. Viva la libertà, dunque, tranne la libertà di coscienza. D’altra parte, aggiunge lo scrittore che sarà bravo quando parla di mafia ma su questi temi si affida ad argomentazioni buone per gli anni Settanta, la 194 è “una legge che ha portato civiltà e non morte”. Come no. Dalla sua approvazione, ci sono stati sette milioni di aborti legali. Sette milioni. Troppo pochi, Roberto?